La nascita di iniziative innovative , basate sul rapporto tra residenti in montagna e visitatori è interessante anche per gli aspetti culturali che comporta. Si tratta di un modo non rurale di produrre e commerciare i prodotti rurali: è l’inizio di una revisione della comunicazione culturale tra città e campagna.

Ugo Bacchella, fondatore e presidente per oltre 20 anni della Fondazione Fitzcarraldo di Torino, attiva nella ricerca, consulenza, formazione, advocacy per il management, le politiche e l’economia della cultura.

Paolo Castelnovi, paesaggista e urbanista, è Presidente della Fondazione Landscapefor, con sedi a Torino e Genova.


(Cliccando qui è possibile vedere e ascoltare in video una intervista a Ugo Bacchella in occasione della presentazione delle attività sui “Luoghi della memoria in Puglia”, 2023)

Paolo Castelnovi

Vorremmo approfondire l’ipotesi che il turismo in una chiave sperimentale possa diventare un fattore di interesse per le leve più giovani per esperienza culturale, più che con la connessione con una storia e una geografia ormai destrutturate e senza appeal, sembra contare la presa diretta, l’emozione di fronte al patrimonio, ai paesaggi, alle persone che si incontrano, che diventa un nuovo patrimonio esperienziale, che richiede nuove codifiche, non mediate da culture altrui, di cui ormai si diffida, e di cui si sente il bisogno per tutte le scelte fondamentali della propria vita, dei rapporti sociali e politici etc.

È un’ipotesi che sembra avvalorata da una serie di scelte che fanno sempre di più i ragazzi, ma che non ha ancora linguaggio o strutture di condivisione, è ridotta al personale e quindi rimane naïve e va capito come possiamo interagire con questa dinamica per ora debole ma significativamente innovativa.

Si può partire dall’esperienza pluridecennale della Fondazione Fitzcarraldo di interpretazione e di interazione con i “nuovi pubblici” del sistema culturale e capire se da essa si riscontrano significativi scostamenti, se si affacciano nuove domande, nuovi linguaggi, nuove competenze, nuovi punti di attenzione.

Venendo da dibattiti territorialisti, in cui la cultura è una componente complementare, mi pare logico vedere il nodo anche dal punto di vista di chi da anni centra l’attenzione sulla cultura e ha considerato il territorio una componente complementare.

Ugo Bacchella

Premetto che l’interesse per questi aspetti innovativi del turismo e dell’abitare “antiurbano” è dovuto a una mia personale curiosità e non è al centro di attività o di riflessioni di FF.

È la mia frequentazione da sempre della montagna (Valli di Lanzo) che mi induce a condividere la vostra riflessione. Nella valle di Usseglio si distinguono Mezzenile e Viù, con storie e vocazioni diverse, interessanti per capire gli esiti di questi anni di trasformazione. Mezzenile ha le caratteristiche classiche locali, con la festa del ciclamino e la sagra con polenta e spezzatino, con trattorie che cercano di darsi un tono, (la festa con il ballo locale, con relativo stage per insegnarlo ai forestieri.

Viù, storica stazione di villeggiatura, dotato di servizi (addirittura una biblioteca pubblica) anche per il turismo torinese in profondissimo declino sino a pochi anni fa, ospita oggi qualche iniziativa di “giovani valligiano contemporanei”: il macellaio locale che offre semilavorati da grande gastronomia cittadina, il pastificio, e altri che offrono prodotti a un turismo non solo locale (anche straniero) che di fatto danno sostenibilità alle iniziative di questi giovani, aperte anche a notevoli innovazioni (ad esempio edilizie o energetiche), formando comunità energetiche virtuose.

Questi giovani vivono in modo integrato: frequentano i grandi eventi della città, formano reti locali che di fatto costituiscono le nuove comunità con soggetti che abitano un po’ in alto e un po’ in città, inventano una nuova offerta turistica molto esperienziale, inventata caso per caso.

Sono dinamiche che ormai sono diffuse: a Mantova abbiamo incontrato gente di Sauris in Carnia, dove si ricostruiscono le tradizioni locali narrandole con le voci degli studenti ( tra i 14 e i 22 anni).

Al centro sta una nuova impresa in cui al centro stanno nuovi rapporti tra ospiti e nuovi modi di abitare.

Certo vicende come i programmi PNRR sui borghi dimostrano, c’è una povertà culturale e una mancanza di competenze devastante tra gli addetti ai lavori, che impedisce a queste iniziative locali di collegarsi direttamente e rinsanguare le strategie istituzionali.

Sembra che si contino risultati interessanti solo dove i sindaci locali sono capaci di mettere in campo un quadro di iniziative anche modeste ma integrate e coinvolgenti tutte le risorse vive o patrimoniali. Buoni esempi sono Montalto delle Marche (sindaco Daniel Matricardi) o Castel del Giudice, che di fatto promuovono attività significative in linea con quelle del vostro documento.

Sono un gruppo sparuto ed eterogeneo, distribuito a casaccio tra nord e sud, unito solo dal fatto statistico che neppure uno dei sindaci di questo tipo appartiene all’area progressista e di sinistra.

Molti sono leghisti (in conflitto con Salvini).

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Anche se ci sono molte iniziative di tipo alternativo, manca l’appoggio non solo delle istituzioni, ma anche delle agenzie del III settore, delle fondazioni bancarie e dei mezzi di comunicazione. Tutto rischia di finire con gli entusiasmi della “prima ora” e nella solitudine degli iniziatori.

Ugo Bacchella

Quindi in sintesi trovo la vostra introduzione molto centrata e un’ottima base per lavorare, ma non bastano le singole esperienze, troppo deboli da sole e affidate a singoli e ai loro entusiasmi, e manca una cultura per preparare le nuove infrastrutture di sostegno di queste nuove iniziative, né in sede pubblica, né nelle storiche agenzie del terzo settore, a cominciare da Fondazione Fitzcarraldo stessa.

Il quadro di riferimento tecnico e culturale delle istituzioni è palesemente incompatibile con il senso del tempo di un 25/30 enne. Lo dice chi ci ha provato e denuncia la fatica per poter fare qualsiasi cosa, il mancato riconoscimento se non a parole, la fragilità, la mancanza di continuità del rapporto con le istituzioni. Soprattutto manca la competenza per passare dai progetti e le pratiche alle politiche: manca a livello dei promotori delle iniziative e manca nelle istituzioni che di fatto dovrebbero accompagnarle o almeno non ostacolarle. E manca nelle agenzie del III settore che si dovrebbero occupare proprio di questo tratto della filiera: dai progetti alle politiche, facendoponte da una parte sulle iniziative locali dall’altra sulle istituzioni.

Non è una impressione solo mia: dappertutto si riscontra una sfiducia frontale nei confronti delle istituzioni e della loro capacità di ascolto e accompagnamento dei territori, ritenute completamente asservite alla politica clientelare al momento di appoggiare significativamente le iniziative.

Paolo Castelnovi

Questo è un punto nodale. La storia di FFitz negli ultimi 30 anni è proprio quella di una intrusione progressiva nelle istituzioni per portare nelle politiche culturali istituzionali alcuni aspetti di modernizzazione e consentire di coinvolgere operatori e pubblici di nuova generazione.

Anche Fondazione Fitzcarraldo ha sofferto della stessa trappola istituzionale: molli e ben disponibili a far posto in progetti ed esperimenti, opache e rigide nelle decisioni strategiche, che riguardino investimenti per dare corpo e continuità alle proposte approvate.

Nel quadro da noi tratteggiato si vorrebbe abbandonare quel modo di agire sulle politiche culturali istituzionali e si vorrebbe invece dare consapevolezza e forza di relazione e di rete alle iniziative locali, che, come tu sottolinei, finiscono sempre per essere affidate alla forza d’animo di iniziatori entusiasti, che nel tempo si disilludono e lasciano cadere l’intera iniziativa, di fatto appoggiata solo sulle proprie forze.

Manca lo stato, è tutto essente e nulla si consolida in una sostenibilità anche psicologica e operativa. Io credo che non manchi solo la cultura operativa per connettere queste parti, ma manchino alcuni fondamentali della politica, che chiedono di dare spazio sistematicamente alle innovazioni. Non è un caso che i sindaci innovatori non siano di sinistra, dopo due generazioni di progressisti mobilitati solo ad occupare degnamente i posti della macchina pubblica per farla funzionare al meglio. Per costoro l’innovazione non esiste, o addirittura è un fastidioso deterrente: insomma dopo 40 anni finalmente sono riuscito a mettere da parte i soldi per l’elettroshock e ora mi dici che è superato e che si fa tutto parlando e al massimo usando qualche pillola? Ma neanche per idea, ora la macchina c’è e va usata!. E’ un paradosso, ma è vergognosamente vicino a molte delle vicende nei settori operativi dello Stato.

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La sfiducia nelle istituzioni diventa sfiducia nel sistema culturale generale e questo, nella generazione dei 40/50 che avevano creduto in un ruolo della cultura, diventa epidemico e devastante un’intera generazione.

Paolo Castelnovi

La sfiducia nelle istituzioni sta sfondando in sfiducia nell’apparato culturale complessivo. Ormai sul banco degli imputati non c’è più solo la macchina amministrativa, con le sue lungaggini, le sue opacità e il suo inappellabile clientelismo, ma l’offerta culturale stessa, a partire dalla scuola, dall’università (dove la terza missione è solo l’ombra del ruolo che dovrebbe svolgere) ai mezzi di comunicazione e, tra pochissimo, anche ai social, che sono sempre più accusati di falsificare la realtà.

In questo senso credo si debba ripartire da zero: non è un caso che gli esempi citati delle Valli di Lanzo trovino successo offrendo ai cittadini (quelli della città) frammenti di piaceri primari (il cibo, il benessere ambientale, la festa, …), lontani dalla elaborazione culturale normalmente erogata sul patrimonio (salvo forse invenzioni spettacolari sull’archeologia).

Tutto il nostro sapere culturale poco conta in questa prospettiva, forse serve la nostra competenza in comunicazione che forse va messa a disposizione di soggetti tecnici/scientifici che potrebbero dare contributi proprio sugli aspetti primari (geologia, forestali, archeologia, coltivazioni tradizionali, come sta accadendo in Canavese).

Secondo te ci sono spazi per questo nuovo legame tra gli addetti alla comunicazione dei beni culturali tradizionali e quelli che invece hanno un sapere più legato alle risorse primarie, da presentare sia in chiave scientifica che con esperienze dirette? E’ pensabile una sorta di appello a queste diverse competenze per farle confluire in una sorta di presentazione alternativa del territorio?

Ugo Bacchella

Si sovrappongono in questo momento la crisi radicale di cui stiamo parlando con la crisi di soggetti come Fondazione Fitzcarraldo, che impediscono di programmare gli strumenti di aggregazione tipo artlab che abbiamo messo a punto da anni. dato che nessuno ci vuole lavorare:

D’altra parte si rivela il crollo della generazione tra i 40 e i 50 anni, dentro e fuori da agenzie e istituzioni, indisponibile a questo tipo di progetti con pochissime eccezioni.

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I giovani (20/30 anni) sono slegati da tutto , anche dal fallimento della generazione a loro più vicina e cercano una loro via, senza pretendere di incidere su temi collettivi e generali. Questa debolezza complessiva per alcuni è anche una forrza, di scavarsi una propria nicchia dove più o meno contrattare posizioni di relativo agio, anche con il lavoro dipendente oggi cosi svalutato.

Paolo Castelnovi

Su questo occorre attestare l’anello mancante di tipo generazionale, fatto che rende comprensibile l’insofferenza dei progettisti più giovani, di fatto privi di agganci operativi con le macchine amministrative, occupate da 30/enni, indisponibili.

Dobbiamo pensare di parlare non solo con chi si integra ma anche con gente che si sta abituando a ragionare con nuovi criteri e nuovi valori (a partire dalla rinuncia a cercare a tutti i costi lavoro).

Ugo Bacchella

Certo ma il quadro è questo, e non puoi chiamarti fuori se no non incidi sulla distribuzione delle risorse e delle occasioni di lavoro duraturo.

Paolo Castelnovi

Credo che ci sia questa consapevolezza, ma che sia in atto una serrata della imprenditorialità culturale (e di fatto anche del lavoro esecutivo in quel campo): si dice “vuoi tenerti le risorse per cose vecchie che non servono? Tienitele, e gioca tu. Divertiti”. Io mi accontento di stare ai margini, con poca potenza. Certo la ricerca di un nuovo modello è ancora di piccolissimi numeri, ma è interessante che esista, proprio a partire dalla dimensione del lavoro, dove, se si esclude il neoruralismo romantico, d molti decenni mancava.

Ugo Bacchella

Si, ma ci sono anche indicazioni diverse: del milione che sono andati all’estero, molti sono delusi e scelgono questa via del non lavoro, ma molti si sono acclimatati con lavori soddisfacenti sia in campo culturale che in altro settore quaternario.

Attenzione c’è anche un notevole rientro da queste imprese, con un ritorno contrattato su modalità di prestazione del lavoro diverse, ma il lavoro rimane lo stesso.

E nel campo culturale l’allure del professionista è molto calato, e sta diventando simile a quello di un professore di scuola, con retribuzioni e soddisfazioni simili. Ci sono settori in cui la contrattazione diventa il nuovo banco di prova della riserva di energie per fare altro che non sia il lavoro.

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Rimane aperto l’interrogativo su dove si indirizzino le energie e i progetti impliciti dei più giovani

Paolo Castelnovi

Andando a chiudere possiamo sintetizzare che il lavoro (in particolare quello culturale) e sempre meno il luogo dell’interesse della propria vita, che ciascuno sta riservando energie per fare altro e ritrovare lì la qualità della propria vita. Rimane a noi l’interrogativo di dove si stiano indirizzando quelle energie: negli affetti? Nella salute fisica e nella cura del corpo? In imprese personali non economiche? In interessi non imprenditoriali?.

Rispetto ai nostri progetti ci sono nuove energie da utilizzare, ed è tutto da progettare. E un compito anche per noi, che vorremmo traghettare le riflessioni di una vita.

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