Per il FAI le collaborazioni con le università non sono solo importanti per appoggiarsi ad esperti nei restauri, il marketing e la gestione dei propri beni, ma anche per sperimentare nuove modalità divulgative di temi strategici (ambiente, suolo, paesaggio), utilizzando i palcoscenici locali come riferimenti per esempi e racconti coinvolgenti anche i non esperti.

Costanza Pratesi è progettista ambientale, è responsabile delle Relazioni esterne e della Ricerca per gli aspetti del Patrimonio e del Paesaggio del FAI (Fondo ambiente italiano).

Cliccando qui è possibile vedere e ascoltare in video una intervista a Costanza Pratesi sulle attività del FAI

Paolo Castelnovi

Vorrei cominciare con un tema che tu credo conosca da tempo: la terza missione dell’Università: quella divulgativa e, come è stata recentemente definita, “di valorizzazione”.

In questo senso le Università sono indirizzate ad iniziative comuni con altri soggetti (del III settore o commerciali). Fond.Landscapefor ha una convenzione con UNITO proprio per operare in questa direzione. E’ interessante capire se il FAI ha avviato o intende avviare collaborazioni con le università in questa direzione e, se sì, quali aspetti di merito e anche operativi stai verificando nell’attuazione di questo rapporto.

Costanza Pratesi

Il FAI ha da sempre invece avuto insieme molte relazioni con il mondo della ricerca universitaria in generale, forse anche perché abbiamo uno staff di tecnici al nostro interno che sono anche docenti.

Parto dalla parte più vecchia, quella del restauro in cui è emersa subito l’esigenza di un confronto, di un supporto, anche perché i nostri casi sono oggetto di studio e di sperimentazione da parte del mondo accademico. E’ sempre stata una relazione spontanea e in qualche modo equilibrata, non nel modo secco dell’incarico ma proprio di una mutua collaborazione dove il FAI si offre come sperimentatore o come terreno di studio. Questa modalità si è ripetuta in tutti i settori, dal restauro alla gestione del marketing gestione del marketing , per la gestione dei beni (in particolare con la Bocconi). Ogni volta i nostri erano casi sperimentali, talvolta difficili da mettere a registro, in cui abbiamo anche provato e forme di collaborazione diverse (finanziando borse di studio ad es.).

Non è facile per una Fondazione come il FAI che lavora in tutta Italia, perché occorre interagire con le università locali, dove più facilmente si riscontrano ricercatori con competenze specifiche sui luoghi e gli artisti che hanno operato regionalmente.

Così in Liguria ci pare naturale lavorare con UNIGE eccetera, ma questo comporta la moltiplicazione di rapporti istituzionali, ogni volta da calibrare sulle situazioni specifiche.

Recentemente abbiamo aperto un nuovo filone di collaborazioni, non più solo basate sulla ricerca, ma su “campagne” divulgative (per il Clima, per l’Università, per il consumo di suolo etc.. I questo caso chiamiamo esperti a incontrare il pubblico direttamente: una visita, una conferenza, spesso con piccoli numeri di ascoltatori. E’ una sperimentazione che fa del dialogo e dell’empatia a tu per tu il fulcro dell’attenzione: sono prove di comunicazione a non specialisti. Così un ricercatore che ha un valore internazionale e argomenti di grande valore scientifico si impegna a raccontarle al signore della strada che poi magari gli farà le domande più elementari del mondo. E’ una performance che trova interesse anche da parte di chi presenta e non solo di chi ascolta, proprio perché fa sperimentare i problemi (e le gioie) della comunicazione non scientifica.

Ad esempio l’anno scorso per il clima abbiamo chiamato al castello di Masino Michele Freppa ricercatore importante dell’università di Torino a parlare del cambiamento climatico e della relazione con le Alpi, che da Masino si vedono. Quindi lui fa riscontrare gli effetti del cambiamento climatico in parole semplici , usando come lavagna il panorama che si gode dalla terrazza del Castello.

Oppure abbiamo chiamato Luca Montanarella, ricercatore del centro di ricerca di ISPRA della Commissione Europea, a Villa della Porta Pozzolo (vicino a Varese) a raccontare il grande tema del suolo e delle relazioni ambientali di base, facendo riferimenti continui al luogo in cui stava parlando, di fronte a una platea locale. Le famiglie che abitano in quei paesi ascoltano un racconto dell’esperto internazionale, che parla del loro territorio, quindi i bambini fanno anche domande carine, con risposte altrettanto piacevoli da parte di uno che è abbastanza abituato a fare divulgazione. Ne risulta un forte contributo identitario, che assume tanto più valore quanto è espresso, dichiarato, trattato da un esperto di fama internazionale.

La nostra idea era proprio anche con queste modalità di cambiare anche un po’ la narrazione rispetto ai temi ambientali, per riuscire a colpire e a coinvolgere, e riuscire anche a coinvolgere, a far partecipare, a interessare a temi che secondo noi riguardano persino la vita quotidiana di tutti, ma che molto spesso non sono percepiti come direttamente relazionati a noi. Per fare l’esempio elementare, la tematica del clima è spesso rappresentata con l’orso bianco, il Polo Nord e l’iceberg che si scioglie. E’ un esempio che ha convinto molte persone, ma non la mia mamma, perché è qualcosa che non sente vicino. Così si tiene il punto in un contesto di luoghi conosciuti e si trasporta lì il problema, con il racconto vivo e la voce di quell’esperto che, vistoalla televisione, non interesserebbe.

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Non solo eventi, ma una serie di iniziative per rendere gli eventi grandi e parte di un’offerta diffusa e accessibile anche in tempi diversi dai visitatori dei luoghi stessi del FAI.

Paolo Castelnovi

Avete pensato anche a un follow up? Cioè, avendo messo in piedi un sistema di contatto con la comunità locale attraverso piccoli eventi significativi, il contributo si conclude nel momento stesso in cui è terminata la conferenza, oppure attiva un sistema di feedback, di monitoraggio, di riprese o paper che vengono messe a disposizione.

Costanza Pratesi

Noi andando sempre su un modello molto divulgativo, ad esempio cogliamo l’occasione per fare una videopillola di intervista all’esperto per restituirci l’informazione in estrema sintesi da mettere sulle pagine del sito, nei nostri canali di comunicazione, che sono tutti i social media che conoscete, e quindi poi nelle newsletter che vanno ai nostri iscritti o contatti. I numeri, in tutto l’insieme, sono abbastanza importanti, e quindi continuiamo a far circolare questo materiale.

D’altra parte pensiamo di ridurre alcune di queste comunicazioni a podcast, in ogni caso da fruire direttamente sul luogo (ad esempio la presentazione di Freppa a Masino, da ascoltare con le cuffie sul parterre del castello.

Molti di questi contributi sono legati alla parte storica architettonica dei nostri beni, ma iniziano a essercene anche che trattano altri temi, comunque da fruire sul luogo.

Inoltre stiamo provando a interessare la rete di volontariato diffusa (quelli che organizzano le giornate FAI). Vogliamo provare con loro incontri tipo workshop comunque mirati a far comprendere le specificità dei territori.

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Approfondimenti sui temi di fondo (cambiamento climatico, consumo disulo…) diventano più significativi e comprensibili se appoggiati a casi reali: gli esperimenti a partire dai beni del FAI.

Paolo Castelnovi

In questo ricco scenario che hai delineato, c’è un progetto a cui tieni, che ti pare prioritario?

Costanza Pratesi

Sono intrigata dal tema che sta emergendo concretamente quando si affrontano le strategie della mitigazione e dell’adattamento imposti dal global change riscontrandole sui nostri beni. Sta emergendo che le chiavi dell’innovazione richiesta dalla situazione grave e inusitata si possono trovare solo a partire proprio dalla conoscenza dei luoghi, che investe e condiziona anche le soluzioni più tecnologiche. Credo poco all’innovazione che si butta a tappeto dall’alto, unificandola su tutta Italia o tutta Europa, credo molto alla necessità di sviluppare conoscenze, competenze e un’attenzione alla lettura del proprio territorio per riuscire a trovare, ad adeguare quelle possibili risposte alle potenzialità e le caratteristiche dei luoghi.

È un approccio fondamentale, che diventa evidente ad esempio quando parliamo di acqua, per la quale stiamo andando a riscoprire e affinare tutte le pratiche tradizionali, a recuperarle nelle loro declinazioni locali, perché c’è un mondo di conoscenza che può essere connessa all’innovazione. È un lavoro enorme che io amerei vedere sempre di più riconosciuto anche in questo suo valore di riconnessione tra tradizione e innovazione, tutte basate sulle risorse e le condizioni locali.

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La disponibilità a raccontare in modo divulgativo è diffusa e diverte i ricercatori. Inoltre il tema del racconto si declina anche favorendo le storie, la narrazione di vicende biografiche emblematiche di temi e problemi spesso sinora descritti solo in forma tecnica.

Paolo Castelnovi

Proseguendo il tono di dialogo del nostro incontro, mi interessa molto capire se si è verificato spesso quell’interesse del conferenziere che viene a raccontare e si diverte e trova interessante partecipare raccontando temi complessi in modo semplificato. E’ un aspetto di qualità da sperimentare che secondo te incontra interesse presso le Università, spesso un po’ autoreferenti?

C’è tutto un meccanismo che oggi gioca all’accademia (ad esempio i giovani dottorandi che molto spesso si impalcano in un linguaggio più alto che possono per scimmiottare i docenti) e che invece potrebbe essere girato a diventare un modo per chiacchierare bene con le persone comuni e con la cultura diffusa. Quindi è importante capire se hai trovato nelle persone di qualità come ricercatori o scienziati, anche un interesse reale, divertito a essere divulgatori.

D’altra parte noi non abbiamo ancora risolto il problema di come agganciare l’interesse delle persone in modo duraturo al di là dell’evento. Ci siamo impegnati a fornire alle persone dei contenuti importanti anche in forma di eventi, mettendole in una macchina di feste, di gioco, di riproposizione dei contenuti all’interno di una situazione un po’ eccezionale, sentirsi in una situazione eccezionale.

Io credo che questo sia molto bello per iniziare, ma che però rimanga una modalità infantile. Quando si fa avanti l’urgenza della riflessione, e ormai i temi ambientali lo impongono, i problemi che abbiamo devono non soltanto essere conosciuti in maniera episodica ma incominciano a chiedere anche un minimo di coinvolgimento e di presa di responsabilità.

Ci vorrebbe un’abitudine delle persone a viversi i temi di fondo un po’ per conto proprio, a andarsi a cercare gli aggiornamenti quando ne hanno voglia, non soltanto quando una macchina organizzata come il FAI glieli offre. E allora va progettato come mantenere l’effetto delle testimonianze emozionanti che si riscontrano solo nell’evento ( anche impegnativo, come lo speech di uno scienziato).

Costanza Pratesi

Problemi interessanti, che stiamo cercando di affrontare anche all’interno del FAI.

Partiamo dal modo con cui organizziamo le visite speciali, la cui richiesta parte da chi gestisce localmente i beni. I nostri servizi centralizzati danno una mano a trovare i contatti, gli esperti. Ed è abbastanza normale che ricercatori o studiosi aderiscano volentieri, senza preoccuparsi di avere platee di 20 o 30 persone e divertendosi a spiegare l’abc.

Sembra essere diffuso il desiderio di raccontare, da parte di chi fa ricerca, il proprio lavoro agli altri, di diffonderlo anche fuori dal chiuso accademico dove circolano solo papers specializzati.

Sono molto d’accordo che occorre affrontare il tema oltre l’evento, perché è vero, questa è un po’ la modalità che oggi si usa (per parlare di agricoltura dobbiamo fare Expo).

Certo, bisogna riuscire poi invece ad andare oltre, perché l’evento aggancia, piace, diverte, e quindi invece la fatica è far crescere il germe della curiosità in chi ascolta.

E’ anche l’obiettivo di questa nuova narrazione per la campagna Fai per il clima.

Questo è l’obiettivo, bisognerebbe poi capire quanto si riesce a fare.

A noi rinfrancano i numeri del pubblico che ci ascolta sui temi ambientali oltre alle aspettative che avevamo, pensando di avere un target molto centrato sui temi storico-culturali e artistici. Riuscire a interessare anche su altri temi fa capire che sta crescendo un seme che davvero è finalmente attecchito.

Oltre agli eventi aiutano molto le storie.

La narrazione di storie aiuta ad avvicinare in modo forse meno bambinesco dell’evento.

Adesso per fare un esempio: Noi abbiamo un alpeggio in Valtellina, che è stato affidato a un allevatore a cui abbiamo comprato delle vacche. Nel momento in cui si discute dell’abbandono e de ripopolamento della montagna abbiamo pensato fosse utile fare raccontare all’allevatore la sua storia. andiamo noi a far parlare il nostro allevatore, che racconta la sua storia. E’ ovviamente una storia particolare, che diventa un po’ emblematica di un mondo che ha poche tutele, in cui ciascuno deve far fronte da solo alle difficoltà che incontra. Insomma una storia ben diversa rispetto a quanto circola sui media.

L’unica modalità per crescere, per arricchire la sua azienda, era stata quella di abbracciare le tematiche verdi, perché lo differenziavano dagli altri. Ma non ce l’avrebbe fatta se non avesse avuto le occasioni di conduzione dell’alpeggio FAI. Inoltre un suo figlio è interprete del film Otto Montagne dal libro di Cognetti. E quindi la vicenda si colora dell’incontro con la troupe del film, con la presentazione a Cannes dove ha partecipato tutta la famiglia…

Anche qui la lettura di una storia spero però possa far nascere domande, consapevolezza sul mondo, su delle difficoltà, su delle scelte importanti. Anche questo è un modo per parlare poi di temi come quello dell’agricoltura, del paesaggio e delle comunità alpine.

E’ più facile cogliere l’interesse della stampa, se si propongono storie, piuttosto che i progetti e la disponibilità dei beni. Un articolo che riguarda la storia e quindi poi racconti di un problema specifico di allevamento a partire dalla storia attrae anche la carta stampata, piuttosto che dire che un articolo illuminante sul tema Agricoltura.

Forse le storie stanno dentro a ogni realtà e ce ne sono tante, sono sempre affascinanti.

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Ormai occorre sperimentare modi di raccontare diversi e multimediali, anche er fare fronte ad una minore competenza nell’espressione verbale,soprattutto nella forma scritta. Il rischio è quello di una perdita di qualità dei contenuti

Paolo Castelnovi

C’è sicuramente ancora un nocciolo forte di amanti della lettura e che preferiscono le storie ai saggi, e credo sia importante difendere questa modalità di conoscenza ricca e appassionata, ma secondo me questo è un approccio ancora novecentesco, molto in declino rispetto al trend di rapporto con la cultura delle generazioni più giovani.

Credo che noi dobbiamo cercare spazi culturali in cui i ragazzi siano coinvolti, siano resi consapevoli che devono metterci del loro, e devono prendersi delle responsabilità.

Dobbiamo cogliere l’esigenza dei ragazzi di esprimere una loro soggettività e interagire nell’apprendimento. In questo senso credo siano preferite comunicazioni più frazionate rispetto alle storie lunghe e avvolgenti. Le storie vengono subite, come una serie televisiva, dentro cui chi ascolta non ha spazi di intervento.

Costanza Pratesi

Sono d’accordo che sia un tema importante. Anche noi ne facciamo una sfida. Noi facciamo tutti gli anni un concorso nelle scuole. Quello di quest’anno ha come titolo “tutelare il patrimonio raccontandolo”. Anche se a scuola i ragazzi sono guidati dagli insegnanti (e questo cambia un po’ la prospettiva) in ogni caso tendiamo a imparare a raccontare attraverso immagini, questo ha una bella rispondenza.

Quest’anno si chiede alle scuole (e agli asili) di portare prodotti che raccontano un luogo che si sceglie come rappresentativo per il proprio. Alle materne fanno collage, o addirittura spettacolini teatrali, meraviglie creative: è qualcosa che va davvero coltivato. Alle superiori i mezzi cambiano, più fotografia, più videoclip, un po’ questo che loro chiamano un compito di realtà. Sono tanti che partecipano, con prodotti diversi, alcuni davvero di qualità, altri fin troppo semplici. In ogni caso è sempre la scoperta del proprio territorio, perché altrimenti si perde nelle generazioni più giovani il valore del racconto.

Paolo Castelnovi

Noi abbiamo riscontrato che questa voglia di raccontare spesso trova un limite nella incapacità ormai diffusa di raccontare con parole. Cioè la parola non è più uno strumento utile e facile a disposizione dei ragazzi.

La parola non è attrattiva, è come se la utilizzassero per dovere. Non ho ancora capito se questo accade perché è faticoso, perché una volta che una generazione non acquista più tra le prime cognizioni la tecnica espressiva è veramente complicato ricuperarla , dato che non si legge più, eccetera, eccetera, o perché davvero ormai c’è una forma mentis che si rivolge ad altro. E se è così bisogna capire cos’è questo altro e come possiamo utilizzarlo anche noi per veicolare i contenuti che ci interessano.

Costanza Pratesi

Certo. Bisogna aiutare anche a far sì che, se cambia la forma espressiva, la qualità del messaggio continui. Bene comunicare con fotografie, però le fotografie devono dire qualcosa come lo diceva il testo prima. E’ un lavoro complesso, che parte dall’affinare l’osservazione.

Sono straordinari questi lavori delle maestre a partire da quelle dell’asilo, perché è davvero importante coltivare l’abitudine all’osservazione, mantenere la curiosità e la capacità poi di esprimerla. Poi, se sono parole o immagini o una pièce teatrale e si parla col corpo, benvengano tanti modi diversi di esprimersi. Quello che ci preoccupa è la mancanza di qualità del messaggio, perché quasi sempre dimenticando l’uso appropriato della parola, il media diventa visivo ma di qualità scarsa. Anche per la valutazione occorre lavorare: è molto importante abituare anche le nuove generazioni ad apprezzare le differenze tra messaggio ricco di significati e messaggio povero.

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Un problema da affrontare, anche con la multimedialità, è come mantenere l’attenzione sui contenuti e come mantenere la competenza dei ragazzi ad eseprimere le proprie ricerche e le proprie opinioni.

Paolo Castelnovi

E’ prezioso questo contributo, perché è proprio al centro delle problematiche su cui stiamo ragionando. Ritorno in questo senso al tema del racconto che riguarda casa propria che mi sembrava centrale come tu l’hai messo in gioco: un facilitatore della comprensione.

Cioè, se mi raccontano un tema declinato su ciò che conosco di più, su casa mia, sui miei paesaggi, sono più disponibile a capire i termini di quel tema e quindi vengo più facilmente coinvolto. Questo vale per il cambiamento climatico ma può valere per altro.

A questo punto possiamo pensare anche all’inverso, se il racconto viene fatto direttamente dall’abitante. Cioè, riuscire a raccontare casa propria può diventare uno dei modi per cominciare a superare una serie di limitazioni che oggi i ragazzi subiscono, se non hanno dimestichezza con una pratica di linguaggio fluida, come quella che imparavamo nelle scuole che abbiamo frequentato noi. Forse è una via da sperimentare e probabilmente troveremo anche degli insegnanti disponibili a provare, organizzando una rete di racconti multimediali in ciascuno illustra agli altri il proprio territorio.

Costanza Pratesi

E’ davvero tutto da sperimentare. Noi oggi vediamo in superficie questo impoverimento, ma si deve approfondire: magari vai a scavare, e trovi che molti scrivono ancora un diario, forse in forma più breve, ma comunque resiste il piacere della scrittura. Se poi pensi a quanti sono in Italia che scrivono: certo tra gli amici di ciascuno di noi c’è qualcuno che ha provato a scrivere qualcosa.

Credo che non sia spenta e vada rafforzata quella competenza al racconto che abbiamo, se non con la scrittura ma almeno orale, che è abbastanza atavica e permane anche tra i giovani. C’è bisogno di un lavoro per coltivare questa quasi ancestrale necessità di raccontare e raccontarsi, come mostra il successo dei podcast di racconto dei propri paesaggi lanciati questa primavera da Scurati sulla pagina del FAI.

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Il vero problema forse non sono i media da utilizzare, ma la qualità dei contenuti, la capacità di leggere un po’ in profondità i fenomeni. Tra i ragazzi delle scuole è ormai accettata molta superficialità, c’è poca curiosità anche nel proprio intorno. Se togliamo le eccellenze che sempre ti stupiscono, nel grande numero c’è tanta banalità. Quella che deve essere combattuta forse più di tutto.

Paolo Castelnovi

Ma come si fa? A cosa possiamo appigliarci? Una delle ipotesi che avevamo fatto era di far leva sul senso di vanità, di narcisismo, che quando racconti casa tua, ti stimola a documentarti, a cercare di far bella figura. Ma d’altra parte è indispensabile che ci sia da parte di chi ascolta un interesse a far diventare il racconto dell’altro un pezzo del proprio patrimonio, sennò è uno scambio tra monadi, tra mondi separati.

Costanza Pratesi

Certo. In tutti i concorsi con le scuole, qualsiasi foto arrivi viene sbandierata come immagine del paesaggio più bello del mondo, che è il proprio.

Questo orgoglio della propria terra deve essere sottoposto a critica, per far risaltare ciò che davvero è di qualità rispetto al resto e che quindi è l’unico che potrà stupire e inserirsi nell’immaginario degli altri.

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Vanno sperimentate modalità di racconto tra esperienze diverse, cha allarghino la visione e gli interessi dei ragazzi. In questo senso è molto interessante l’iniziativa degli Amici del FAI di Ponte tra culture, animata prevalentemente da stranieri che raccontano luoghi comuni letti con i propri occhi.

Paolo Castelnovi

D’altra parte stiamo scoprendo che una parte delle nuove sensibilità è legata al fatto che il senso di identità non è più legato strettamente al proprio territorio, ma piuttosto si basa sulla propria vita che si svolge su molti territori, cioè prende valore la propria esperienza di esploratore più che quella di abitante.

Se questo fosse vero, la scuola dovrebbe riuscire a dare ai ragazzi anche questa sensazione di essere in una fase della civiltà in cui andare in giro e conoscere i territori è un pezzo importante della propria cultura, e della propria esperienza di vita. In quell’ottica, il racconto di un altro diventa un pezzo che si va ad aggiungere alla propria esperienza diretta e quindi si diventa critici, cioè capaci di entrare nel merito e di interagire anche con i discorsi degli altri. Si diventa interlocutori attivi e non soltanto ragazzi che applaudono per farsi applaudire quando sarà il loro turno, come spesso avviene in queste presentazioni.

Se si riuscisse a lavorare con gli insegnanti in questa prospettiva, c’è un mondo da esplorare.

Abbiamo però verificato che occorre lavorare su più anni, non bastano esperimenti spot, per consolidare un modo di fare innovativo purtroppo schiacciato in mezzo ai programmi scolastici tradizionali.

Ma anche tra gli adulti avviene sempre più spesso questo scambio di ruoli tra chi presenta i problemi e chi ascolta. Molte volte abbiamo visto battaglie per la qualità del paesaggio condotte dai turisti, più che non dagli abitanti.

Ad esempio i Luoghi del cuore del FAI. Esplorati statisticamente, sin dalla loro prima stagione, mostrano di essere stati posti al centro del senso di identità di chi li presentava. Poi, negli anni, le segnalazioni diventano sempre più testimonianza degli scontri e delle iniziative di tutela e difesa, in cui spesso quelle iniziative sono prese da turisti o villeggianti più che non dagli abitanti.

E questo è interessante perché probabilmente è sull’alleanza fra locali e turisti consapevoli che si fondano le future battaglie per la qualità del paesaggio.

Ciò che manca è la strumentazione permanente a favore di queste iniziative, che se no appaiono come fuochi di paglia, episodiche.

I soli eventi che sono comunque preziosi se ben organizzati (come fa quasi sempre il FAI) come quelli di performing art, hanno comunque il limite che finito l’evento è tutto terminato. In questi tempi sta diventando una facile scusa per i ragazzi per non prendersi responsabilità:partecipano volentieri, fanno la manifestazione e poi è finita lì.

E invece bisogna trovare degli strumenti perché le cose restino e diventino laboratori, posti dove si può continuare a ragionare. E’ vero che quali che siano i media quello che ci interessa è la qualità del messaggio, ma è anche vero che occorre lasciar depositare il messaggio, avere uno tempo e uno spazio per interagire e metabolizzare i nuovi contenuti, senza che questi svaniscano e diventino un ricordo emozionale, di cui nulla si deposita in modo immediatamente utile.

Per questo FLF continua a investire per formare degli archivi, dei depositi di immediato accesso in qualsiasi momento, come Atlasfor.

Costanza Pratesi

A questo proposito mi viene in mente un’altra esperienza nel FAI, diversa da quelle sin qui ricordate. Si chiama Ponte tra culture. Qui formiamo persone provenienti da tutto il mondo, e queste persone indiane, francesi, finlandesi, turche, arabi, raccontano in lingua, nella loro lingua, i luoghi in cui oggi vivono.

Non sono interpreti di un racconto che gli ha fatto qualcun altr, ma reinterpretano con il loro sguardo e la loro sensibilità il luogo che andranno a raccontare.

Il loro racnto viene fatto in lingua agli altri stranieri e non che conoscono la lingua . In questo modo non si condivide solo il racconto, con anche lo sguardo, l’interpretazione.

Ad esempio, Villa Necchi Campiglio a Milano ha diversi vasi antichi, cinesi, e una ragazza cinese aveva fatto un po’ di ricerca per raccontare questo mondo. In questi casi affiora uno sguardo, le una capacità di raccontare che va stabilendo un ponte tra culture.

E’ un progetto che piace molto, e lo abbiamo sviluppato in tante città in Italia.

Ora abbiamo una ragazza indiana, di staff al FAI centrale , che segue questo progetto.

Ponte Tra Culture è nato da un’associazione Amici del FAI, quindi adesso sono ancora loro, che portano sempre avanti loro, va direi con sempre maggiore diffusione in tutta Italia.

Sono gruppi moto eterogenei, veramente multietnici, che riescono a non essere banali in questa modalità del racconto dei luoghi, da cui passano ancora altri messaggi importanti, di scambio culturale, di reciproca accoglienza.

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La ricchezza delle iniziative del FAI è un patrimonio da mettere a disposizione delle scuole e delle imprese del III settore, per condividere una fase di rifondazione della divulgazione culturale, in particolare per i più giovani.

Paolo Castelnovi

Questa nostra chiacchierata rivela molte iniziative del FAI che non conoscevamo, comunque orientate ai nostri stessi obiettivi, con una sintonia sui temi sui quali occuparsi che davvero straordinaria. . Mi viene in mente il principe di Salina che diceva che a Donnafugata a molte stanze non le aveva mai viste e che una casa di cui conosci tutte le stanze non è neanche una casa. In effetti è proprio bello avere così tante frecce al proprio arco da dimenticarsene sempre qualcuna e va bene lo stesso. Però in questa direzione comunque mi sembra che anche la vostra capacità di lavoro possa essere aiutata, affinata, se noi mettiamo maggiormente in circolazione queste cose.

Ad esempio sarebbe bene poter offrire a questi ragazzi e anche agli insegnanti una certa varietà di opzioni e un carnet di laboratori, in ciascuno possa scegliere.

Costanza Pratesi

E’ bene che si conosca tutto il carnet e mi sarebbe piaciuto oggi trovare un modo per far vedere l’intero catalogo, ma non è semplice, perchè facciamo sin troppe cose.

Poi sono anche iniziative che rinascono sulla spinta di qualcuno e pigliano vigore se riscontrano interesse, in modo del tutto sperimentale. Nulla nasce da studi di marketing a freddo, ma piuttosto dalla voglia di provare, anche divertendosi. E’ importante pensare, ritornare, capire anche alcune scelte o le ragioni di altre. Metterle a catalogo, poi noi ci rendiamo conto spesso che, anche qui, messaggi troppo complessi, cose troppo complicate la gente non le capisce.

Un esempio: proprio l’altro giorno mi hanno passato una mail che diceva, “ma quel bene che è passato al FAI è trascurato, è abbandonato”. Preoccupata vado a vedenovire: era un Luogo del cuore, in cui il FAI non c’entra nulla.

Dall’esterno si fa fatica anche a capire esattamente cosa si fa nella Fondazione, e va messa in conto la modalità distratta del pubblico, che si fa un’interpretazione personale. Quindi non è semplice, trasmettere anche una varietà di attività, di iniziative.

Il Presidente dice sempre a chi arriva come nuova forza lavoro al FAI, “prima di un anno non capirai il FAI”. È anche un tema di ricerca, la fatica di restituire la complessità in un mondo che cerca immagini veloci.

Paolo Castelnovi

Suggerisco che proprio questo tema sia al centro dell’attenzione perché sembra che in Europa le imprese culturali trovino grandi difficoltà perché non riescono più a raccontare i loro contenuti sul piano della concretezza e dei risultati tangibili. Se questo è vero, il FAI è proprio avanti agli altri, per la concretezza del proprio patrimonio e anche del modo di fare, in cui conta l’origine milanese che avete, la borghesia lombarda, che non si perde in troppe chiacchiere. Questo nostro incontro, con la ricchezza di esempi fattuali che hai messo in campo mostra perfettamente questa virtù ormai rara. Grazie.


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